mercoledì 24 febbraio 2010

Bologna : tutte le proprietà della Curia

Dal giornale Repubblica : la pagina di Bologna. Articolo firmato da Eleonora Capelli

Dalla profumeria alla banca al ristorante
tutte proprietà della Curia

Viaggio per le strade della città: molti dei negozi più frequentati appartengono all'Arcidiocesi, come Limoni in via D'Azeglio. Bar, tabaccherie, ricevitorie del lotto, e c'è anche un distributore di gpl domestico

Il cortile di via Altabella, sede della Curia
Il cortile di via Altabella, sede della Curia

Ristoranti, banche, gioiellerie, bar, negozi di gastronomia, profumerie, saloni di parrucchieri, ma anche ferramenta, tabaccai e un fornitore di gas Gpl per uso domestico. Nel "portafoglio clienti" della Chiesa, in affitto in più di 100 locali di proprietà degli enti religiosi, non manca quasi nessuna categoria commerciale. Non ci sono solo le librerie specializzate come le Edizioni Paoline e la libreria Dehoniana, non ci sono solo negozi di commercio equo e solidale, ma tutti i tipi di esercizi. A partire dagli esempi più eclatanti, che ancora dichiarano nei dettagli architettonici un passato di devozione, a confronto con un presente più "secolare". È il caso della profumeria Limoni di via D´Azeglio 30, ancora proprietà dell´Arcidiocesi di Bologna e data in affitto alla catena di profumerie, realizzata nella ex chiesa Santa Maria Rotonda dei Galluzzi, di origine romanica e poi restaurata nel ‘500.
La chiesa sconsacrata è solo l´ultima propaggine di un vasto complesso che parte dalla basilica di San Petronio. Praticamente nel "retro" di una delle chiese più grandi d´Italia, c´è la sede della Banca di Bologna, che ha la direzione in piazza Galvani 4, sempre in affitto dall´Arcidiocesi. I locali di questa corte medievale sono quasi tutti di proprietà della Chiesa, come il laboratorio orafo Sancini, dove l´artigiano che realizza pezzi unici sospira: «Magari fosse mio». Tra le banche che hanno preso in affitto beni ecclesiastici, anche la filiale della Banca popolare del commercio e dell´industria in via Murri 77, che risponde all´Opera diocesana carità della verità per l´apostolo del Santo Vangelo.
Attorno alla chiesa di San Francesco, molti negozi sono di proprietà dei frati. Il salone di parrucchieri «Bulli e Pupe», i cui proprietari versano l´affitto ai francescani, come la ferramenta di Davide Alberighi in piazza Malpighi e il vicino negozio di orologi. Anche la gastronomia è ben rappresentata: dal ristorante «Pane e Panelle» in via San Vitale, che affitta i locali della parrocchia di Santa Maria della pietà e il negozio di gastronomia «La Bottega di via Montegrappa» che fa riferimento alla parrocchia dei santi Gregorio e Siro. Completano il quadro molti bar, tabaccai e ricevitorie del lotto, oltre a un rivenditore di Gpl in via Toscana.

lunedì 22 febbraio 2010

La chiesa di San Pietro di Reggio Calabria



Chiesa di San Pietro (Reggio Calabria)
Anno di consacrazione 1853
Stile architettonico Neoclassico
La Chiesa di San Pietro a Reggio Calabria, è una chiesa rettoriale, sita in prossimità dell'argine sinistro del torrente Calopinace.
La sua edificazione risale al 1853 per volere del sacerdote Pietro Gagliardi, come si evince da due iscrizioni collocate sul prospetto principale.
La prima si trova sulla fascia della trabeazione:
« SAC. PETRUS GAGLIARDI FUNDAVIT ET DOTAVIT »
« Il Sacerdote Pietro Gagliardi costruì e attrezzò »
La seconda, al di sopra del portale:
« TU ES PETRUS A.D. 1853 P.G. »
« Tu sei Pietro, Anno del Signore 1853, P.G. »
Intorno al 1925 l'edificio rischiò la totale demolizione quando il suolo e la casa attigua alla chiesa furono espropriati al Barone Giuseppe Alampi Gagliardi di Monteleone (morì nel 1926, all'abbattimento del primo albero della sua proprietà) dal Genio Civile per la costruzione della Casa Circondariale (carcere) da cui in seguito il rione prese l'attuale nome - Sbarre -, ma dal 1945 l'arcivescovado ne assunse il diritto di patronato, poiché i discendenti del Barone, sfollati nelle campagne a causa dei pesanti bombardamenti degli alleati, non pensarono a salvaguardarne gli arredi sacri.
La Chiesa di San Pietro (assieme alla Chiesa della Graziella e alla Chiesa di Pepe) è uno dei più antichi edifici religiosi della città: ha resisto all'azione devastante del terremoto del 1908 e agli eventi bellici della seconda guerra mondiale.
Data la presenza dell'attiguo Istituto Penale, per motivi di sicurezza la chiesa è chiusa al culto.
Dalle dimensioni modeste, la Chiesa di San Pietro è a navata unica e sorge su un piccolo sagrato.
Il prospetto principale è composto da un corpo unico, scandito da due alte paraste con capitelli ionici. Le paraste sorreggono un'alta trabeazione su cui è riportata l'iscrizione latina relativa alla committenza.
Il coronamento dell'edificio è costituito da un corpo centrale sopraelevato che ospita una piccola finestra, e che si collega al corpo sottostante attraverso un motivo geometrico a greche. Questo vano è affiancato da due piccole torri campanarie sormontate da guglie che sorreggono i simboli attribuiti a San Pietro secondo la tradizione cristiana: il gallo e le chiavi.
Unico elemento di spicco è costituito dal portale lapideo: architravato, è caratterizzato dal tipico motivo a festoni (in stile tardo-barocco) che orna la trabeazione. Al di sopra di esso, tra due volute di raccordo, è collocata una lapide con la data di edificazione sormontata da un bassorilievo raffigurante San Pietro.
L' interno, a navata unica, termina con un'abside semicircolare, cui si accede attraverso un arco di trionfo sostenuto da due robusti pilastri. Un'alta trabeazione percorre senza soluzione di continuità tutta la navata e il coro. Quest'ultimo, sopraelevato rispetto al corpo dell'edificio, ospita l'altare marmoreo e una statua del Santo, in cartapesta colorata, di recente manifattura. La navata è inoltre illuminata da sei grandi finestre, tre per lato. La pavimentazione in terracotta, così come la copertura in muratura, sono frutto del restauro eseguito tra il 1990 e il 1993, realizzato ad opera del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Prima di questi interventi erano presenti tre altari ottocenteschi di manifattura locale in marmo policromo, e le pareti della navata erano scandite da una serie di affreschi con decorazione geometrica.
Rimangono dell'originario arredo: due motivi decorativi collocati sui pilastri in prossimità dell'abside; un'acquasantiera in pietra del XIX secolo, collocata sulla contro facciata e una ringhiera in ferro battuto su cui sono riportate le lettere "PP". Inoltre è stata rinvenuta una cripta, al di sotto del presbiterio che oggi è completamente murata.
Dal 1995 la Chiesa di San Pietro è la Sede Sociale del Coro Polifonico San Paolo di Reggio Calabria che dal 1961, anno della sua fondazione, è il Coro di Cappella Musicale del Duomo di Reggio Calabria. Il coro mantiene aperta la Chiesa di San Pietro per lo svolgimento delle prove corali generalmente nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì dalle 19:00 alle 21:00, ed è l'unica istituzione autorizzata dalla Curia Arcivescovile di Reggio a fruire dei locali dell'aula liturgica per lo svolgimento delle proprie attività.
A cura di un gruppo di fedeli della zona, la Chiesa di San Pietro viene aperta una volta all'anno, il 29 giugno, per celebrare la liturgia in onore del Santo al quale è intitolata.

Un uomo da non dimenticare : David Lazzaretti





UN PERSONAGGIO DA NON DIMENTICARE : DAVID LAZZARETTI
Il territorio dell'Amiata è inserito nella sorprendente storia della Toscana meridionale, posta a confine della Tuscia che era la denominazione attribuita all'Etruria dopo la fine del dominio etrusco, invalso a partire dalla Tarda antichità e per tutto l'Alto Medioevo. Il nome indicava in origine un territorio assai vasto. La "Tuscia romana", corrispondente al Lazio settentrionale con l'antica provincia pontificia del Patrimonio di San Pietro). Da ricordare l'avventura mistica e rivoluzionaria di David Lazzaretti, il profeta dell'Amiata, che si immolò nel 1878 per il riscatto religioso e sociale della propria gente, avversando le ingiustizie del mondo e il declino del clero romano.
CHI ERA IL PERSONAGGIO
David Lazzaretti nasce a Arcidosso, sul Monte Amiata, provincia di Grosseto nel 1834. Di famiglia contadina poverissima, per di più in una zona depressa e abbandonata, vive in un ambiente per natura ricco di misticismo e di superstizione; la levatrice che accudisce la madre per il parto arriva a giurare che il bambino fosse nato con due lingue, e che una gli sarebbe scomparsa pochi giorni dopo la nascita. Per oltre metà della sua esistenza vive come un qualsiasi povero di quelle zone: fa tutti i mestieri per guadagnarsi il pane, tra i quali il barrocciaio, ovvero il conduttore di carri con muli o cavalli. Come molti in Maremma, si ammala di malaria, la malattia endemica che le bonifiche medicee e lorenesi non hanno ancora estirpato: durante la malattia gli si manifestano le prime visioni. Si sposa all'età di 22 anni, nel 1856; lascerà la famiglia quattro anni dopo, nel 1860, abbandonando la moglie e tre figli, per andare a combattere in cavalleria. Prende parte alla Battaglia di Castelfidardo e si dice Garibaldino. Nel 1868 David Lazzaretti sostiene di avere delle visioni: gli appare la Madonna sul Monte Labbro (facente parte del massiccio dell'Amiata), la quale gli dichiara che è un remoto discendente di un figlio illegittimo di un re Capetingio, attraverso Manfredi Pallavicino, personaggio romanzesco che si ritrova nell'omonimo romanzo di Giuseppe Rovani. Spinto dalle sue visioni, Davide Lazzaretti inizia a predicare nella zona, iniziando dai piccoli borghi di Zancona e delle Macchie (dove farà costruire due scuole) e, ben presto, le genti più povere di quella montagna gli si stringono attorno. Stabilisce un eremo sul Monte Labbro, che chiama La nuova Sion, e gli adepti gli affidano il poco denaro che hanno (il che gli varrà l'accusa, mai provata e sicuramente artefatta, di truffa). Nel 1870, poco prima della Presa di Porta Pia e della fine del potere temporale, Davide Lazzaretti si reca a Roma, e, dopo avere insistito con grande costanza, non riesce ad essere ricevuto dal Papa se non per qualche minuto. Fa proseliti in tutta la Toscana e persino in Francia: si collega infatti ad un filone rivelazionista e messianico tipicamente francese, che auspicava la restaurazione della monarchia capetingia. Si proclama "Re dei re" e L'Unto del Signore, mettendo in atto un carisma di grande rilievo.Nel 1871 Davide Lazzaretti entra di fatto in conflitto insanabile con le gerarchie della Chiesa cattolica, fino a disconoscere l'autorità del Pontefice. La sua comunità, che chiama Giurisdavidica ("del diritto di Davide", con una interpretazione audace ma sorretta da rispettabili motivazioni), assume i caratteri di un socialismo mistico e utopistico: Davide Lazzeretti prende le difese della Comune di Parigi e raccoglie consensi anche da figure che, nella Chiesa, hanno posizioni sociali favorevoli ai ceti più deboli e diseredati, come San Giovanni Bosco, che lo ospita e lo sostiene. Fonda un ordine religioso, gli Eremiti penitenti e una società di mutuo soccorso. Ben presto l'attività di Lazzaretti e della sua comunità inizia a disturbare lo stato italiano: pur essendo i rapporti tra Chiesa e Stato del tutto pessimi dopo Porta Pia, le autorità non hanno nessuna intenzione di esacerbare ulteriormente la Chiesa lasciando agire liberamente colui che viene oramai considerato come un eretico e un sovversivo. Viste le condizioni a lui avverse che si erano sviluppate, Davide Lazzaretti si ritira sull'isola di Montecristo, nell'Arcipelago Toscano, allora come oggi disabitata ma non ancora di accesso vietato; dopo qualche tempo ricompare con una bandiera rossa sulla quale è scritto La Repubblica è il Regno di Dio. Il visionarismo socialista di Lazzeretti si assume quindi il compito di guidare l'umanità verso l' era dello Spirito Santo, improntata alla legge di Diritto dopo che si erano concluse l' era del Padre, caratterizzata dalla legge di Giustizia (quando Mosè aveva ricevuto i comandamenti) e l' era del Figlio, ovvero Gesù (era della legge di Grazia). È qui facilmente riscontrabile un chiarissimo influsso delle teorie di Gioacchino da Fiore, secondo il quale la storia della salvezza umana si articolerebbe in tre fasi distinte corrispondenti a tre ere riconducibili alle tre persone della Trinità cristiana. Nel marzo 1878 la Chiesa Cattolica, per mano del Sant'Uffizio, condanna gli scritti del Lazzaretti (successivamente messi all'indice) e gli fa pervenire un vero e proprio ultimatum: o se ne sta tranquillo sui suoi monti, oppure avrebbe fatto intervenire la legge. Ma Lazzaretti non ci pensa neppure e prosegue nella sua attività: si proclama anzi "Cristo Duce e Giudice", affermando di essere venuto a completare la rivelazione cristiana. La mattina del 18 agosto 1878, solo pochi mesi dopo la morte di Pio IX e l'ascesa al papato di Leone XIII guida una processione che dal Monte Labbro (che sarebbe dovuto essere la sede di una delle sette città eternali che avrebbero caratterizzato l' era dello Spirito Santo) scende verso il suo paese natale, Arcidosso, allora il centro più importante dell'Amiata. Ad attendere la processione ci sono i Carabinieri in armi, che sparano sulla processione inerme, facendo tre morti e circa quaranta feriti. Tra le vittime, lo stesso Davide Lazzeretti; il suo cadavere viene portato da Arcidosso a Santa Fiora dove viene seppellito in fretta e furia in terra sconsacrata, ma viene poco dopo prelevato dal celebre antropologo Cesare Lombroso, il fondatore della criminologia, che aveva ottenuto le sue spoglie per i propri studi.
Ciò che rimane di quel corteo variopinto (bandiere, labari, gonfaloni, vesti, tuniche) che Davide Lazzeretti predispose per un ingresso in Arcidosso, che doveva essere tragicamente trionfale, sono stati per circa un secolo conservati nel lascito che Cesare Lombroso aveva destinato al Museo di Antropologia Criminale di Torino, ed oggi trasferiti, almeno in parte, nel Centro Studi Giurisdavidici, nella sede del comune di Arcidosso. Dopo la morte, i seguaci di Davide Lazzaretti si dispersero in gran parte, tornando in seno alla Chiesa Cattolica o comunque lasciando la comunità. Alcuni seguaci, però, continuarono a perpetuare la predicazione e l'utopia socialista religiosa del fondatore; tuttora, secondo notizie comunque contrastanti, ne resterebbero alcune decine nella zona del Monte Amiata e in Maremma, dove sussistono ancora i resti di alcune costruzioni della primitiva comunità giurisdavidica. Fin qui la cronaca biografica della vita di David. Ma è opportuno segnalare la vasta letteratura cui hanno dato origine i fatti avvenuti sull'Amiata nella seconda metà dell'Ottocento e che hanno visto protagonista proprio David Lazzaretti, per alcuni detto "il Santo", per altri raffigurato approssimativamente come un visionario socialista ante-litteram. Oggi si tende ad una rivalutazione di questa figura che ha impersonato un momento storico assai delicato, in cui Stato e Chiesa si sono trovati stranamente alleati in una singolare repressione che ha portato all'uccisione di David e di una decina di suoi seguaci. Un sacrificio che si è configurato in seguito, nelle pagine di giustizia e della storia, come una sorta di tentativo sociale di sollevazione pacifica e mistica dei ceti popolari, oppressi da tasse e da condizionamenti sociali in molti casi inaccettabili e che la religione cattolica non riusciva a controllare e guidare, forse a seguito del declino che in quel tempo caratterizzava le strutture clericali di Roma. Quasi tutti i critici, filosofi e letterati dell'epoca e, ancor più successivamente, hanno analizzato il movimento di David Lazzaretti. Fra questi storici delle religioni come Rasmussen, Donini, Moscato; letterati come Barzellotti, Guy De Maupassant, Lazzareschi, Imberciadori, Arrigo Petacco, Gadda-Conti; filosofi e politici come Eric Hobsbawm, Antonio Gramsci, Ernesto Balducci. Questi illustri contributi di studio e di ricerca portano oggi a valutare l'avventura mistica del "profeta dell'Amiata" alla stregua di una protesta sociale genuina, nata in una situazione economica di alta depressione come quella presente nelle campagne toscane dopo l'unificazione, che ha cercato il possibile riscatto in un viatico religioso e millenaristico che David Lazzaretti ha impersonato con un carisma non comune. La figura di David Lazzaretti è stata oggetto di testi e articoli in quotidiani e riviste a dimensione anche ultranazionale, trasmissioni televisive, documentari, rappresentazioni teatrali (teatro povero di Monticchiello), cantiche folkloristiche, storie in ottava rima, nonché la canzone dei Gang Fuori dal controllo dall'omonimo album, ed altre forme di rievocazioni spettacolari e di studio.
Salvatore Marrari

venerdì 19 febbraio 2010

UN TERREMOTO AL GIORNO


SI PARLA ANCORA DEL TERREMOTO DELL'ABRUZZO E DELL'ULTIMO DI HAITI MA VOGLIO RICORDARE QUELLO DEL 28 DICEMBRE 1908 CHE DISTRUSSE REGGIO CALABRIA E MESSINA CON UN EPISODIO CHE TOCCO' DA VICINO MIEI PARENTI

Avevo 13 anni alla morte del mio pro zio Matteo Paviglianiti(poeta dialettale reggino,n. 01/05/1874 – m. 11/11/1956), fratello della mia nonna paterna Antonia e quindi ho accumulato un bagaglio di suoi racconti storico-folkloristici , che riguardano cose,persone,luoghi della Reggio Calabria nei primi anni del ‘900. Mi preme, vista la ricorrenza dei cento anni del terremoto del 28 dicembre 1908, raccontare come è avvenuta la salvezza di un bambino, nipote del poeta e cugino in primo grado di mio padre Domenico Marrari, quindi Figlio di una sorella di mia nonna.

Intitolerò questa realtà storico - familiare :

“CICCILLEDDHU”

Questo era il vezzeggiativo di Francesco il cui cognome era Neto. Con i suoi genitori, sorelle e fratelli, abitava al Rione Tremulini, a nord della città, topograficamente dove ancora insistono le palazzine INCIS di Viale Amendola, costruzioni edificate nel periodo fascista proprio per le famiglie terremotate. Quella mattina del 28 dicembre 1908,la prima scossa di terremoto abbatté l’edificio- abitazione di questa famiglia e tutti rimangono sepolti, schiacciati e ammazzati dalle macerie. Non vi sono soccorsi, ognuno brancola nel buio pesto di quelle strade con la mente sconvolta da una pazzia insolita, non dovuta a schizofrenia, ma allo più sfrenato terrore procurato da qualcosa o da qualcuno che non conosci e da cui non puoi difenderti. Immaginiamo di sentirci prendere e scuotere da una forza immensa che , con enorme fragore, distrugge e abbatte tutte le cose che ci circondano e ci proteggono nell’intimo di quelle mura che vediamo caderci addosso.
Raccontava mio padre, Domenico, (compirà sei anni il 16 gennaio 1909) che si era svegliato di soprassalto sentendo che qualcosa trascinava per casa il suo letto, poi facendolo sobbalzare, poi virare per ben due volte di 360° (la scossa fu prima ondulatoria, poi sussultoria, poi rotatoria).
Ma torniamo a “Ciccilleddhu” . I primi soccorsi in città arrivano nel pomeriggio del 29 per la caparbietà di un ufficiale dei carabinieri che ferma in mare la corazzata “Napoli” costringendola, dirottandola da Messina ove erano già arrivati abbondanti soccorsi, a venire sulle sponde di Reggio. Passano i primi otto giorni di aiuti rivolti principalmente al centro storico e qualcuno si accorge che da sotto le macerie di casa Neto si udiva come un rauco lamento. In effetti, una vecchina di nome “Mmaculata”, vicina di casa o coinquilina di quella famiglia, sentito quel rantolo chiama aiuto, ma nessuno le crede : “Esti sicuramenti nu iattu, ndonna Mmaculata, passaru novi iorna cu vuliti mi nc’esti vivu nddha sutta a deci metri di travaturi”! Ma la donnina aveva capito e non si dava pace anche perché costantemente chiamava : “Ciccilleddhu, Ciccilleddu o Ciccilleddhu” e dopo tale richiamo aveva, o le sembrava di avere, una risposta. Allarmava l’uno e l’altro,ma ne ricavava sorrisi di compassione come se la ritenessero un po’ svanita o addirittura pazza . Accadde che giravano per il quartiere le ronde armate anti sciacallaggio che facevano anche il servizio di abbattimento animali, cani e gatti in abbandono che si nutrivano di cadaveri , e vennero chiamati da qualcuno perché sparassero attraverso qualche fessura a quel gatto intrappolato sotto dieci metri di detriti che impressionava “ndonna Mmaculata” . Il pianto della vecchina e la certezza che quel gridolino fosse “Ciccilleddhu”, mosse la curiosità degli agenti che chiamarono rinforzi e cominciarono a spalare ed a setacciare le travature e le mura “di petri e matu”. Passavano le ore e più si avvicinavano all’obbiettivo, più la gente curiosa si ammassava nei dintorni tra lo scetticismo di chi non credeva che sotto ci fosse qualcuno vivo da salvare. Non fu così : arrivarono un gruppo di volontari americani più attrezzati dei nostri ed in un battibaleno raggiunsero quel corpicino intrappolato e non schiacciato, salvato da una trave della capriata, messo di traverso a protezione di quel fagotto di soli cinque anni. La gioia di tutti fu immensa.
Cose da non credere: sotto quella potenziale angusta prigione “Ciccilleddhu” si era anche nutrito con fichi secchi fuorusciti da una “cascia”, baule in legno che si usava riempire per Natale di fichi, castagne, nocciole e “mbriacheddhi ”(corbezzoli) . Un tubo d’acqua divelto e gocciolante lo aveva anche dissetato. Fu naturale lo stato di abbattimento psicologico e fisico del bambino, unico superstite di quella povera famiglia. Ma impressionò tutti il gesto di voler abbracciare “ndonna Mmaculata” che piangente, con le lacrime copiose che le cadevano sul petto, corse a prenderlo dalle braccia dei soccorritori stringendoselo al petto .
Francesco Neto, orfano ,fu portato nella comunità americana, quella stessa comunità evangelica che, per officiare i loro culti, costruì la Chiesa Evangelica Battista ancora oggi esistente sul Corso Garibaldi di Reggio Calabria. Fu sette anni in America in un collegio per bambini scampati al terremoto e poi riportato in Italia ove imparò l’arte di barbiere presso il salone dello zio Matteo Paviglianiti, che espletò poi in posti diversi sino all’età della pensione. Sicuramente “Ciccilleddhu”, che io conobbi in occasione della morte di mia nonna e di zio Matteo, è già a miglior vita, ma nella zona del quartiere Tremulini esisteranno dei figli, nipoti e pronipoti, se non sono emigrati. Sono i miei lontani parenti per parte della pro zia Paviglianiti , sorella di mia nonna Antonia. Forse varrebbe la pena fare delle ricerche e farsi raccontare dai figli di Francesco Neto come andarono realmente i fatti, nei particolari che loro hanno avuto modo di sentire in maniera più specifica e più estesa.

Salvatore Marrari  RC 19 febbraio 2010

martedì 16 febbraio 2010

REGGIO CALABRIA - FONTANA INTITOLATA ALLA "FATA MORGANA"






La fontana artistica “La fata Morgana” situata in via Ravagnese Inferiore, all’ingresso nord dell’aeroporto “Tito Minniti”. Si tratta da una vasca ellittica ( ml 15,00 x 6,00, rivestita all’interno da mosaico) al centro della quale è presente la statua bronzea eseguita dallo scultore reggino Michele di Raco mediante la tecnica della cosiddetta “cera persa”. L’ideazione artistica è quella di rappresentare la Fata Morgana che appare nel mare, un corpo diviso in due a simboleggiare il rispecchiarsi di parte della Sicilia, Messina compresa, sulle sponde della Reghion di un tempo; un volo di gabbiani felici sfiora le acque per poi riportarsi in alto spinti dagli zefiri dello stretto e un pescespada emerge come a volersi immolare perché anch'esso sia parte della storia di questa bellissima costa calabra. Il mitico paesaggio è simboleggiato sia dall’acqua presente nella vasca sia dalla presenza di getti nebulizzati dai quali spunta la mitica figura. I lavori, eseguiti dalle imprese Leonardo Foti di Saline Ioniche (per le opere edili e gli impianti) e dal gruppo “Mosaicisti” di Ravenna ( per il mosaico), hanno riguardato anche la sistemazione dell’anello perimetrale esterno con pavimentazione in materiale vulcanico (scuro) e cordonali in pietra locale (chiari). Il manufatto è dotato di impianto idraulico di ricircolo e filtraggio delle acque, al fine di ridurre al minimo il consumo della stessa. Tra le altre caratteristiche tecniche anche un sistema di illuminazione notturna a “led” d’effetto coreografico sia della vasca d’acqua che del monumento bronzeo. Il vero artista è Michele Di Raco che non ha davvero bisogno di presentazioni, il protagonista è lui e questa fontana la dice tutta sulle sue capacità artistiche, la sua è una scommessa vinta; l’audacia di chi sa davvero andare oltre le pareti protettive del conformismo e dei mestieri sicuri e garantiti. Possiamo senz’altro affermare che con lui si ripete e s’invera il miracolo di dare verso, senso, profonda vitalità alla materia informe e inerte. Di Raco è assieme testimone e messaggero: testimone nella società di oggi di una creatività vitale e assai stimolante, messaggero di un percorso artistico che Reggio Calabria ha iniziato e voluto sin dalla sua antica storia greco-calcidese, la cui testimonianza e tramandata da tutti gli apprezzatissimi ritrovamenti archeologici che ne fanno, di questa città, il fiore all'occhiello di una cultura mai scomparsa ed in forte ripresa.

Salvatore Marrari  RC 16 febbraio 2010

domenica 14 febbraio 2010

14 FEBBRAIO 2010 - ANCORA...SAN VALENTINO


Sono le ore 01,15, è notte profonda, mi pregio di augurare a chi lo desideri una buona domenica di San Valentino. Dicono che questo santo sia il protettore degli innamorati, ma vi garantisco che Lui non lo sa' né l'ha mai saputo. Nel 496 d.C Papa Gelasio Primo annullò la festa pagana della fertilità ed ebbe inizio il ...culto di San Valentino, attribuendo a questo ecclesiastico il protettorato delle coppie, maschio e femmina. Questo vescovo era stato martirizzato circa duecento anni prima, lapidato e poi decapitato, era nato a Terni nell'anno 175 d.C. divenne così il patrono dell'amore e protettore degli innamorati di tutto il mondo. Già questa parola, protettore, non mi piace, sia per il significato sia per un fatto di libertà : l'amore è protetto all'interno della coppia dalla dedizione e dal sacrificio e non ha bisogno di terzi incomodi. Immaginatevi un individuo che dichiari il suo amore solo il 14 febbraio, va bene ? No di certo, il vero amore che si rivela con la passione, si costruisce e si cesella minuto per minuto, ora per ora, giorno per giorno, e così via; deve essere sostenuto e festeggiato in ogni attimo della vita di coppia, il resto è puro consumismo. Mi viene in mente la medaglietta + di ieri - di domani, ma non è con l'acquisto di oro forgiato che si mantiene il volersi bene, poi, ricordo ancora, un'altra medaglietta a forma di mezza mela che combaciava con un'altra metà e ciscuno degli innamorati la deteneva appesa al collo come un feticcio. Vi assicuro, cari giovani, che non v'è niente di più bello, nella realtà dell'amore e nel matrimonio, anche da anziani, che la coppia, a tavola, divida una mela in due e ciascuno e ne mangi la propria metà. Questo gesto sia testimonianza per i figli, sia un'offerta d'amore accompagnata dall'incrociarsi degli sguardi dei commensali che stanno seduti a consumare la grazia del cibo che il buon Dio ha potuto donare a quella famiglia pervasa d'amore eterno.

Salvatore Marrari  RC 14 febbraio 2010

giovedì 11 febbraio 2010

RICORDI DI FILASTROCCHE ORMAI LONTANE


Da oggi sino a martedì sono un "EMO", guardo il mondo con un occhio soltanto(tanto con l'altro ci vedo poco). Auguri a tutti ! Fate anche voi "i buoni carnevali"

Il Carnevale è festa oltre che trasgressiva, rigenerante. Nasce proprio per liberarsi da oppressioni e limiti, godere di alcune libertà.Risale a Dioniso e Mercurio, ai baccanali, mitici maestri di ogni trasgressione ed abbuffata, in cui ci si abbandonava ad ogni licenza riempendosi di dolci e vino in quantità.Il fatto che al Carnevale, momento liberatorio di piaceri ed eccessi, segua la Quaresima non può non fare pensare al principio alchemico della alternanza , per cui ad una fase di disgregazione , segue una fase di rigenerazione, il nuovo.A ben vedere il carnevale altro non è che festa della vita che reca in sé la consapevolezza della morte, accettata allegramente come necessaria fase del meraviglioso viaggio dell’uomo.

FEBBRAIO
E' febbraio monellaccio
molto allegro e un po' pagliaccio;
ride, salta, balla, impazza,
per le vie forte schiamazza;
per le vie e per le sale
accompagna il Carnevale.
Se fra i mesi suoi fratelli
ve ne sono dei più belli,
il più allegro e birichino,
sempre è lui, ch'è il più piccino.

Salvatore Marrari  RC 11 febbraio 2010

CARNALUVARI - POESIA DI MATTEO PAVIGLIANITI


CARNALUVARI ( Lirica ricordo di Matteo Paviglianiti tratta da " 'U Specchiu D'a Vita " )

Undi si carnaluvari

cu ddha festa i brascioluni,
ddhi testazzi, ddhi crapari
e ddhi rossi purpettuni ?...

Undi su' chiddhi sirati

di mangiati allecri allecri,
'a rruttura di pignati
chi di rrisi tu mi crepi ?

Quandu tutti 'i signurini

ndi facivunu sbaffati :
cicculati 'i chiddhi fini,
e vidivi li rranfati....

Passà 'u tempu quandu nc'era

peri peri l'allicria,
quandu l'anima sincera
'a truvavi pi la via....

Era 'u tempu i minnifricu,

chin'i sordi li sacchetti,
era allecri lu mindicu,
nc'era 'u beni cu' carretti...

Si spindiva, si mangiava...

ddhi tiani di pruppetti !
E lu cori si scialava
cu' ddhi durci ffetti ffetti...

A la sira chi prufumu

di caprettu e di bracioli :
'na buttigghia 'i vinu ll'unu
supr'a quattru rravioli...

Ddhi trufei di carretti

chini chini 'i mascarati,
cu' pipiti e cu' trumbetti
e cunfetti a sassulati...

D'i barcuni, a li figghioli,

quantu pugna di turnisi,
chi di tanti caprioli
ti pisciavi di li rrisi...

E virivi peri peri

chiddhi maschir'i dutturi,
di truscianti e cavaleri,
di pacchiani e di pasturi...

E ddha pigghia chi ti pigghia

i cunfetti di barcuni
chi parivanu 'na nnigghia
e ghinchivinu 'u stratuni...

E ddhi balli di mavari,

c'a cunocchia e ccu lu fusu,
cu rramaci seculari
si pirdiu puru l'usu...

Tuttu Rriggiu chinu chiunu

di famazzi divirtenti,
cu la panza china 'i vinu
divitivunu la ggenti.

A lu tardu chi allicria !

Nu curteu i bbabbaluci :
carnivali pi la via
a ddacottu si rriduci...

Ora und'esti chiddhu bbeni,

quandu l'anima rririva
e campavi senza peni
pirchì 'u cori non cingiva ?

Quandu veni chiddha sira,

e rricordu 'i tavulati,
st'animeddha mia mi ggrira
pì li cori addulurati...

I filusi su' li guai,

chi spariru di sacchetti,
undi sunnu non lu sai,
ora chi ll'ha' netti netti.

Quattru iorna 'i fantasia,

quattru iorna di sbaffati,
buffunati pi' la via,
ggriri,frischi e li cantati...

Ora nc'è sulu 'a miseria :

fin'ì tutta l'allecria,
e ndi resta comu storia
pi' la nostra picundria...

martedì 9 febbraio 2010

LA NUOVA GIOVENTU' : EMO E TRUZZI


Commento all'articolo EMO - TRUZZI letto su www.cittadinovara.wordpress.com
Ho visto qualcosa in televisione ed ho anche letto su queste nuove categorie di sporche gioventù. Sono costretto a dire “sporche ” perchè dal ‘68 in poi è iniziata una “sporca”contestazione. Si è mirato a distruggere quelli che erano i canoni di una società normale, per certi versi, anche umana.Le colpe di tutto ciò non devono cadere solo sui giovani,ma su coloro che,intellettualmente,hanno studiato una situazione del genere per impossessarsi di poteri di vita e di morte,come fossero le tre Parche della mitologia che avevano in consegna il filo di ogni vita che poteva essere tagliato a loro discrezione.Comunque, in atto, non è più sana contestazione di un tempo che è sempre esistita nei riguardi degli adulti, oggi si è degenerato producendo violenza su violenza, sesso incondizionato, guerre di religione(sono le peggiori)che sommate ai fiumi di droghe ed alcol , hanno prodotto un razzismo dei più sguaiati, tanto che ci si odia tra correggionali o tra concittadini di rioni diversi.Ma chi tira i fili di queste marionette ? A Reggio Calabria direbbero : Don Natale(il più famoso puparo della città). Purtroppo la risposta è un’altra : La politica nelle espressione più dispregiative cioè mafia,ndrangheta,camorra,sacra corona unita e quanto altro non si conosce in denominazione,ma c’è. La cura per queste malformazioni o malignità, come sono definite e profetizzate nella Bibbia, sarebbe una Stato laico e attento
ad ogni “scossa di terremoto”, reagendo con una perfetta legge “antisismica” ove si prevedano ferri acciaiosi e impasti di cemento nelle quantità previste , perchè il palazzo Italia o Mondo non cadano alla minima sollecitazione, sia essa trazione,compressione e torsione. Ho usato termini e materiali da costruzione perchè si capisca e non si sottintenda che uno stato è democratico quando si è liberi nel rispetto delle leggi, ma nel momento del reato scatta la sanzione che deve essere dura per il reo e medicina per chi sta a guardare. Tornando ai “poveri” EMO e TRUZZI, non è troppo tardi dirlo e pensarlo, la colpa ricade sempre sui genitori assenti e sulle istituzioni scolastiche che non hanno più la capaità e il potere di “curare” con sani ceffoni,calci in culo e punizioni drastiche. Se ogni famiglia di qualunque Stato adottasse i vecchi sistemi si avrebbe una gioventù molto più intelligente e più colta, perchè,se si vuole fare contestazione, occorre sapere e conoscere la storia di ogni popolo,usi e costumi, politica sociale e quando altro serva ad aprire gli orizzonti a menti bacate che vivono nel buio più assoluto e nella massima ignoranza.


Salvatore Marrari  RC 9 febbraio 2010

lunedì 8 febbraio 2010

ORIGINI DEL COGNOME MARRARI


MARRARI…UNA PICCOLA STORIA
Quante volte nella vita e nelle storie umane è accaduto che qualcuno abbia avuto voglia di scoprire le origini del proprio cognome ? L’araldica la dice lunga e, spesso, racconta bugie su bugie per rendere pago e felice chi si affida a tali ricerche per motivi di orgoglio in concorrenza con la modestia dei più. Io non sono uno di quelli, ma uno dei tanti e, quindi, vorrei, amerei, che i miei figli conoscessero le nostre origini e quelle del cognome che noi portiamo : Marrari. 
Questa parola di sette lettere prende forma dalla lingua greca di Calabria; viene da “Marro” che vuol dire “roccia”, ”terra”, ”fango”, importata dai calcidesi, i greci che colonizzarono le sponde e l’entroterra reggino e le zone della sua provincia, Bova, Condofuri, Palizzi, Fossato Jonico, Gallicianò, Monasterace, Bivongi, che ancora oggi usano il linguaggio greco nella comune espressione dialettale. 
Calcide o Chalkida (in greco Χαλκίδα, Chalkida) è una città della Grecia ed è capoluogo (circa 60.000 abitanti) dell'isola di Eubea, ha una storia antichissima. Le sue prime tracce abitative, secondo le scoperte archeologiche, risalgono al paleolitico e la sua prima forma di città risale all'inizio del neolitico, attorno al 3.000 a.C. Viene citata da Omero nell'Iliade; secondo il poeta, Calcide ha partecipato alla spedizione di Troia con 40 navi comandate da Elefenore. Fu abitata da genti di stirpe jonica. I Calcidesi fondarono numerose colonie nel Mar Mediterraneo soprattutto in Italia meridionale e in Sicilia, stringendo intensi legami commerciali e culturali con gli Etruschi che impararono ad usare, come alfabeto, quello Calcidese. All'inizio dell'VIII secolo a.C. nacquero: Kallipolis (Giarre) , Katane (Catania) , Kymai (Cuma) , Leontinoi (Lentini), Naxos, Giardini Naxos , Pithecusa (Ischia) , Reghion (Reggio Calabria), Zancle (Messina) . Queste popolazioni, nella città di Reggio Calabria, si allocarono alla foce del torrente Calopinace , su quella sponda che ancor oggi si chiama Calamizzi. IL promontorio, Punta Calamizzi, anticamente Pallantiòn (Pallanzio) o Promontorio Reggino, era una lingua di terra che si inoltrava per circa due chilometri nel mare (inabissatasi nel XIV secolo) su cui fu costituito nel corso del II millennio a.C. il primo nucleo abitativo dell'antica città di Reggio Calabria. Presso questo largo sito vi era la foce del fiume Apsìas (oggi fiumara Calopinace), mentre il promontorio stesso, riparo naturale dai venti e dalle correnti dello Stretto, costituiva l'antico porto di Reggio. Con il nome di Calamizzi viene oggi invece indicata la spiaggia che si estende a Sud del Calopinace, e che oggi conserva tale nome appartenuto in origine a quella zona non più esistente.
L’espansione verso le colline e i monti del reggino di queste genti , fece sì che arrivassero a Pentidattilo, Montebello, Valanidi, Arasì, Ortì, Podargoni, ove ancor oggi esistono discendenze di Marrari, Marra, Marrara, Marrapodi la cui origine è, dunque, prettamente greca. Vero è che, in queste zone, la parola “fango” viene detta e pronunciata “marreddha”. Il nostro ramo, il mio, è quello di Pentidattilo, ove i Marrari erano tra i vassalli del marchese Domenico Alberti. 
Il termine vassallo, apro una parentesi per i non avvezzi a tale espressione, viene dal latino medievale vassallum, derivato da vassus di origine germanica e da gwass, che significa "giovane"; s’intende, cioè, colui che, in qualità di concessionario, riceve dal sovrano (il concedente) l'affidamento di incarichi amministrativi e, contemporaneamente, la gestione di territori, prestando, in cambio, un giuramento di obbedienza e fedeltà, oltre allo svolgimento delle funzioni amministrative delegate dal sovrano. 
Tornando alla storia, morto il marchese Domenico gli succedette il figlio Lorenzo, il quale fece il grande torto al Barone Bernardino Abenavoli di Montebello Jonico a non dargli in sposa la sorella Antonietta, già precedentemente promessa al nobile dal padre prima della morte. Si accende l’odio e, dai ferri corti, si passa  alla guerra totale e la famiglia Alberti viene annientata da una strage perpretata di notte, improvvisa, dagli Abenavoli. Ritiratosi a vita privata l’erede del marchese, i Marrari, per regalo dalla discendenza, ebbero e si divisero le terre del circondario, precisamente quelle a destra del paesino, guardandolo frontalmente, dal cimitero sino a valle . Il mio nonno paterno Domenico, proveniente da quella origine, era nativo di Melito Porto Salvo ed emigrò a Reggio ove fu ferroviere  presso  la  stazione  centrale;  sposò,  da  vedovo  con  tre figli (Francesco, Fortunata, Giovanna), Antonia Paviglianiti e da lei ebbe altri figli : Marianna, Clementina, Santo, Amedeo, Domenico(mio padre), Emilio. IL fratello di mio nonno, Giuseppe, preferì spostarsi a Montebello Jonico (residenza primitiva della di lui consorte di cui non conosco il nome), per  cui, da  quel  centro montano, partì  un  altro ramo di Marrari.
Quando fui mandato a reggere il piccolo ufficio postale di Annà di Melito P.S., moltissimi omonimi di zona, venuti a conoscenza del mio cognome, vollero conoscermi e capitarono, tra questi, un signore avanti negli anni, Francesco, figlio del prozio Giuseppe di Montebello, abitante a Penti- dattilo e sua sorella Lucia Marrari, proprietaria terriera, abitante anch’essa a Pentidattilo. Quest’ultima, rimasi sorpreso, aveva una forte somiglianza, direi gemellare, alla  sorella, Marianna (zia Nannina), di mio padre; capelli bianco latte, colorito roseo, viso tondo e luminosissimi occhi azzuri, non rari nella famiglia di mio padre, quattro di loro avevano negli occhi il colore del mare. Ultimamente, tramite la rete di Facebook, feci cono-scenza con Maria Ines Marrari nata in Argentina, da genitori di Melito P.S. emigrati in quello Stato e, venendo lei in visita presso i parenti del padre, mi fece conoscere Rosario Marrari e la sua famiglia che la ospitavano nella loro casa di contrada Pallica, orbene, Rosario, discendente anche esso da Pentidattilo, ha gli occhi a zzurri  e una  strana  somiglianza  con  uno dei  fratelli  di mio papà, zio  Santo. Credo, dunque, che  i caratteri somatici non possono smentire le notre dirette discendenze e affinità. Nel raccontarvi queste realtà, ci ho messo tutta l’enfasi possibile per la tenerezza che ho provato verso tutti i mie parenti Marrari, la cui origine umile, di persone sane ed oneste, si è tramandata sino ai nostri giorni grazie anche al Buon Dio che ci ha resi e tenuti sempre tali.
Ciaoooo Parenti ! Siate fieri di questo cognome.
                                 
                                                                                                                 Salvatore Marrari   RC  8 febbraio 2010

domenica 7 febbraio 2010

CONOSCERE MATTEO PAVIGLIANITI IL POETA BARBIERE DELLA VECCHIA REGGIO






Conoscere Matteo Paviglianiti attraverso la sua poesia
è cosa semplice, come semplice è stata la sua vita .
Questo è un primo approccio almeno per conoscere
il suo viso da un ritratto a penna del pittore Bava
del 1938. Matteo nasce a Reggio Calabria il 01/05/1874
e ivi muore il 11/11/1956. Dedicò la sua vita al negozio
di barbiere,alla poesia in versi di vernacolo reggino,al
socialismo.La politica del partito socialista gli occupò
da giovanissimo parte della vita, vero è che fu tra gli
otto fondatori del medesimo partito nella Reggio dei
primi del '900. Il salotto del suo negozio fu ritrovo di
giovani poeti e scrittori quali Nicola Giunta,Domenico
De Stefano,Franco Saccà,Giuseppe Morabito e tantissimi
altri che furono anche da lui sovvenzionati per le loro
pubblicazioni, fu veramente un mecenate.
In un prossimo futuro darò ampliazione all'argomento 
con un resoconto molto più dettagliato.

Salvatore Marrari  RC 7 febbraio 2010